Internazionalizzazione delle imprese al tempo del Covid-19

Se già Obama nel 2014 parlava di un’epidemia globale che si sarebbe diffusa per via aerea per effetto della globalizzazione, altri episodi, come la Brexit e la guerra dei dazi sino-americana, hanno effettivamente dato un’ulteriore scossone a questa realtà.

In tempo di Covid, la globalizzazione sembra averci dato quasi un segnale che qualcosa sta cambiando e ci si trova tutti costretti a pensare a nuove mappature dei mercati.

Alcuni parlano di un ritorno alla regionalizzazione, dal momento che l’attuale difficoltà logistica potrebbe portare ad una maggiore concentrazione dei mercati nazionali.

Il punto è che in questa fase delicatissima per l’economia, molto probabilmente dovrà essere l’export a guidare la ripresa economica, soprattutto se pensiamo che in Italia solo duecentomila aziende su tre milioni esportano all’estero. Di queste, solo 2000 producono quasi la metà del valore delle esportazioni.

Alcune aziende si troveranno costrette a valutare la presenza all’interno di mercati esteri per poter uscire vivi dalla crisi.

Di certo, affrontare un mercato estero, in un momento già di suo delicato, non è affatto un’impresa facile.

A volerne dare una definizione semplice e precisa, l’internazionalizzazione è “Il processo di adattamento di una impresa, un prodotto, un marchio, pensato e progettato per un mercato o un ambiente definito, ad altri mercati o ambienti internazionali, in modo particolare altre nazioni e culture”.

La parola chiave del concetto di internazionalizzazione è contenuta proprio nella parola “adattamento”.

Andare all’estero significa innanzitutto saper ascoltare e dialogare con l’altro, per comprendere a fondo le dinamiche del mercato dove ci si vuole inserire.

Vuol dire anche e soprattutto saper dialogare con sé tessi e conoscersi a fondo per poter comunicare al meglio il valore del proprio prodotto e per poter operare in maniera strategica, conoscendo a fondo le proprie risorse e i propri punti deboli.

Si tratta di un processo che richiede un certo tipo di forma mentis: non capita schioccando le dita, ma ci si arriva a poco a poco, con gradualità e pazienza, con spirito critico e spirito di adattamento, con competenze acquisite e nuova voglia di imparare e mettersi in gioco.

Si tratta di qualcosa che probabilmente si rivelerà necessario per ritrovare nuovo slancio imprenditoriale e per trasformare la crisi post Covid-19 in una possibilità di rinascita.

Del resto, a voler restare in tema di culture e linguaggi differenti, il termine cinese per crisi è “Weiji”, che è composto dalla parola “pericolo” e, guarda caso, dalla parola “opportunità”. Un modo per dire che una crisi non è mai solo una crisi. Per un imprenditore può essere anche qualcosa in più.

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